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Trasferimenti, traslochi, malinconia e nuove opportunità

Il ‘nostro’ luogo di lavoro, col tempo, diventa un’appendice di casa. Siamo abitudinari, ci rassicurano ambienti conosciuti, ritmi e percorsi che si ripetono senza più curiosità.
E’ così un trasferimento, benché all’interno della stessa azienda, può scatenare uno smarrimento iniziale… l’ignoto fa paura.
Gianluca Alfonsi ha scritto un addio al suo luogo di lavoro, il centro dialisi di via Boston, che forse non era bellissimo, ma sentiva “suo”. In quei locali “Son passati centinaia di pazienti che ricevevano un’assistenza personalizzata…e l’esperienza di via Boston è stata importante e vorrei fosse ricordata positivamente soprattutto per l’impegno di chi ci ha lavorato”.

Sappiamo che dopo un po’ diventerà casa anche il nuovo luogo di lavoro e per questo a Luca e a tutti i colleghi in ‘spostamento’ auguriamo di vivere il cambiamento come nuova opportunità di incontri e di stimoli. E poi l’abitudine ritorna…

EPITAFFIO PER VIA BOSTON

Luca si aggirava per il locale in quel momento silenzioso. La luce del pomeriggio filtrava dalle ampie finestre. I vetri zigrinati impedivano di vedere cosa succedeva lì dentro. Obiettivo vano, perché, in
estate, quando la calura lì, a pianterreno, si faceva insopportabile, spesso le finestre venivano aperte e qualche curioso di passaggio o gli inquilini stessi del condominio (che comprendeva quel locale) facevano
capolino attraverso le sbarre delle finestre per dare un’occhiata all’interno.
Quante volte Luca si era trovato lì dentro alla medesima ora, nello stesso periodo dell’anno, con la stessa luce. Ma oggi era tutto diverso, i pazienti erano appena andati via per l’ultima volta e il locale era stato svuotato.
La sua anima era già stata impacchettata e dentro uno degli innumerevoli scatoloni che erano serviti per effettuare il trasloco. Rimanevano solo i letti, vecchi e scrostati, con le bilance antiquate, la lancetta
che oscillava attorno al quadrante per indicare il peso del paziente.
“Uh, se la faccio da qui riesco a vedere quasi tutto!”. Luca con un occhio chiuso e l’altro appiccicato all’obiettivo, studiava l’inquadratura giusta. “Beh, allora falla e poi vieni via. Fuori ci sono gli ultimi scatoloni da spostare, danno fastidio in mezzo al passaggio”. “Un attimo, questo è un momento importante. Ci va l’angolazione giusta per affrontarlo”.
Luca iniziò a scattare qualche foto, la macchina ronzava leggermente ogni volta che l’indice premeva sul tasto.
“Allora hai finito?”, Mimma sbuffava impaziente, appoggiata alla porta di uscita, già con le chiavi in mano. Un attimo ancora e gli ultimi 25 anni sarebbero rimasti intrappolati là, dentro quelle mura. Mentre noi, il mattino
successivo, avremmo preso una direzione diversa per recarci al lavoro verso i nuovi locali del Reparto Dialisi in ospedale.
Vita e lavoro si confondevano in quel momento: “Mimma, guarda che queste foto le ho scattate per te”. “Per me? In che senso? Io non vedo l’ora di andarmene!”.
“Non è vero, sei emozionata quanto me ma non lo dai a vedere”. “Ti illudi, anzi, mi stai dando fastidio”. “Eppure in questi ultimi giorni, quando qualcuno fa riferimento a questo posto, vieni fuori sempre con la stessa frase”. “Frase? Quale sarebbe? Non me ne sono accorta…”, Mimma aveva l’aria tra lo svagato e il perplesso e una generosa spolverata di irritazione.
“Dici sempre che non vedi l’ora di andarmete…”, Luca assunse un’aria solenne, “Invece io qui dentro ci ho cresciuto una figlia.
Che significa? Il lavoro che ho svolto qui dentro mi è servito per tirare avanti la famiglia, per portare a casa uno stipendio…e tu sai quanti soldi servono per far crescere un figlio?”.

“Posso crederlo. Ma oltre le parole, io ci ho visto qualcosa di più. Ho pensato che tu ti riferissi anche al tempo che è passato tra quando tua figlia era piccola e adesso che è già è già grande: in quel lasso di tempo ci sono i ricordi spesso legati a questo posto”.
Luca pensieroso, “Sei tu che la vivi in questo modo. Non dare alle mie parole un significato diverso da quello che hanno…”. Mimma spazientita, “E’ probabile che tu abbia ragione, ma le tue parole mi hanno colpito e le
ho interpretate in questo modo, punto.
Comunque perché devi rendere le cose difficili?” “E’ finito un periodo, ne inizia un altro e spero sia migliore”.
Mimma adesso voleva proprio andar via, “Vedila in questo modo e soprattutto scollati da lì che voglio chiudere”. Luca, “Hai ragione… Però abbiamo fatto un bel lavoro in questi anni”.
Mimma girò il viso guardando fuori, la sera avanzava velocemente. Con voce rotta riuscì adire: “Si, siamo stati bravi”. Uscirono chiudendo a chiave la porta.

 

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