Assistenza Ospedaliera e Assistenza Territoriale in Oncologia dopo il Covid-19

Editoriale a cura di Alessandro Comandone - SC oncologia, Ospedale San Giovanni Bosco

L’epidemia di COVID-19 ha accelerato un fenomeno già in corso negli ultimi 20 anni nella sanità dei Paesi a più alto sviluppo economico e sociale: il continuo incremento del numero di cittadini che hanno avuto (o hanno) una patologia oncologica e che di conseguenza si devono sottoporre a cure e controlli per lungo tempo, determinando una pressione sempre più forte sulle strutture, sul personale e sui costi sanitari.

Le dimensioni del problema, troppo spesso dimenticate, sono realmente impressionanti: nel volume I numeri del cancro1 si stima che nel 2021 in Italia vi siano state 377.000 nuove diagnosi di tumore (più di 1.000 casi al giorno, circa 195.000 uomini e 182.000 donne) e i decessi siano stati 181.330 (100.200 uomini e 81.100 donne).

I dati di prevalenza sono ancora più importanti: oggi in Italia abbiamo circa 3.600.000 persone che hanno avuto nella loro vita l’esperienza di una neoplasia, con un aumento del 37% rispetto al 2010.

Ma questa popolazione è molto eterogenea: ai completamente guariti (27%), si associano le persone in trattamento adiuvante o in follow-up, che avranno ottime probabilità di guarire, o in cura per malattia in fase avanzata o in cure palliative, per i quali possiamo sperare solo in un prolungamento della sopravvivenza o nel controllo dei sintomi.2,3.

Per contro, gli specialisti oncologi sono circa 2.200 e il rapporto medico/pazienti con malattia conclamata o in follow-up si avvicina ormai a un insostenibile rapporto di 1/1.600.
Considerando, infine, che un paziente oncologico, soprattutto se in cura attiva o palliativa, necessita di una visita ogni 21-28 giorni, si comprende che il vecchio sistema di assistenza rappresentata dal rapporto diretto oncologo-malato non è più sostenibile.

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